Il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) in collaborazione con l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), le Agenzie ambientali regionali (ARPA) e delle province autonome (APPA), ha presentato il rapporto annuale “La Qualità dell’aria in Italia” ed. 2020 sullo stato e il trend della qualità dell’aria nel periodo 2009-2019.

Come riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’inquinamento atmosferico determinato dalle attività antropiche è un fattore di rischio per la salute umana e per gli ecosistemi. La sua origine dipende da una serie di fattori legati tra loro in modo complesso: l’intensità e la densità delle emissioni su microscala, su scala locale e regionale; lo stato fisico e la reattività delle sostanze disperse in atmosfera; le condizioni meteorologiche e l’orografia del territorio che influenzano il movimento delle masse d’aria; i meccanismi di diluizione o di accumulo degli inquinanti; la velocità di formazione e trasformazione delle sostanze; il trasporto a lunga distanza e la deposizione degli inquinanti.

La rete di monitoraggio e i riferimenti normativi

Per la valutazione della qualità dell’aria – intesa come l’insieme delle attività volte a verificare se sul territorio siano rispettati i valori-limite e raggiunti gli obiettivi stabiliti al fine di prevenire, eliminare o ridurre gli effetti avversi dell’inquinamento atmosferico per la salute umana e per l’ecosistema – il report SNPA ha utilizzato i dati della rete di monitoraggio – costituita dalle 600 stazioni attive sul territorio nazionale gestite dalle ARPA/APPA – e definita come l’insieme di punti di misura dislocati in un determinato territorio secondo criteri e metodi stabiliti in Europa dalla Direttiva 2008/50/CE, normativa recepita nell’ordinamento nazionale dal D.Lgs. 155/2010.

Il rapporto fa riferimento ai principali indicatori descrittivi dello stato della qualità dell’aria: al particolato aerodisperso (PM10 e PM2,5), al biossido di azoto (NO2), all’ozono troposferico (O3), al benzo(a)pirene, ad alcuni elementi ad alta rilevanza tossicologica (arsenico, cadmio, nichel e piombo) e ad altri inquinanti gassosi (biossido di zolfo, monossido di carbonio e benzene).

Per ciascun inquinante, a partire dai dati di concentrazione rilevati e attraverso modelli matematici sono stati calcolati i valori statistici da confrontare con i valori limite stabiliti dalla normativa vigente e con i valori di riferimento suggeriti dall’OMS per la protezione della salute umana.

Inoltre sono stati tenuti in considerazione i due obiettivi strategici dell’UE in materia di inquinamento atmosferico: raggiungere entro il 2020 la piena conformità alla legislazione vigente sul territorio dell’Unione e porre le basi affinché entro il 2030 non siano superati i livelli raccomandati dall’OMS.

I risultati del rapporto

Il quadro generale che emerge dal rapporto SNPA 2020 è quello di un progressivo miglioramento della qualità dell’aria nel corso del decennio 2010-2019, con significative riduzioni delle concentrazioni di PM10, PM2,5 e NO2.
Tuttavia dallo stesso emerge come a tutt’oggi nel 2019 siano stati superati i valori limite e i valori obiettivo previsti dalla legislazione per il materiale particolato, il biossido di azoto, l’ozono troposferico e il benzo(a)pirene in diverse parti d’Italia. Inoltre, gli obiettivi più stringenti posti dall’OMS sono ancora molto lontani dall’essere raggiunti.

L’Italia con il bacino Padano rappresenta ancora una delle aree dove l’inquinamento atmosferico è più rilevante; inoltre altre zone come la Valle del Sacco nel sud del Lazio e la piana di Acerra e Nola nel napoletano hanno presentato nel corso del decennio e continuano a presentare nel 2019 delle criticità soprattutto rispetto al materiale particolato aerodisperso (PM10 e PM2,5), al biossido di azoto, all’ozono troposferico e al benzo(a)pirene.
Nello specifico per il PM10 i dati relativi al 2019 evidenziano per l’Italia ancora una significativa distanza dagli obiettivi posti.

Il valore limite giornaliero del PM10 stabilito dall’UE (50 µg/m³, da non superare più di 35 volte in un anno) è stato superato infatti in 111 stazioni, pari al 22% dei casi. Il valore di riferimento OMS giornaliero (50 µg/m³, da non superare più di 3 volte in un anno), è stato superato in 279 stazioni pari al 54% dei casi.

Tali superamenti hanno interessato 24 zone su 81 distribuite in 10 Regioni.

Nell’86% dei casi (96 stazioni su 111) i superamenti sono stati registrati nel bacino padano. Si registrano inoltre superamenti del valore-limite giornaliero del PM10 anche nella zona della Valle del Sacco – nel Lazio – e nella zona dell’agglomerato di Napoli e Caserta.

In relazione a tali superamenti è riconosciuto come il legame tra il carico emissivo degli inquinanti – la sua variabilità stagionale e giornaliera – e i livelli di concentrazione e persistenza osservati è complesso e dipende dalle caratteristiche orografiche e climatiche della zona presa in esame.

E se da questo punto di vista il nostro Paese presenta una notevole variabilità, sono ben note le zone maggiormente influenzate negativamente dai fattori meteoclimatici ed orografici e sono esattamente quelle che hanno presentato superamenti dei limiti di legge: il bacino padano, la zona della valle del Sacco nel sud del Lazio, la piana di Acerra e Nola nel napoletano, alcune valli subalpine e appenniniche, la conca ternana.

PM10 (2019) – Distribuzione del numero di giorni con concentrazioni superiori a 50 μg/m³ per zona geografica

La linea rossa rappresenta il valore limite giornaliero dell’UE, quella arancione dell’OMS. Fonte: Elaborazioni ISPRA su dati ARPA/APPA

Per quanto riguarda il valore limite annuale posto dalla normativa per il PM10 (40 µg/m³) è stato registrato un solo superamento rispetto alla normativa UE mentre il valore del limite annuale di riferimento dell’OMS (20 µg/m³) è stato superato in 347 stazioni, pari al 65% dei casi.

PM10 (2019) – Distribuzione delle medie annuali per zona geografica

La linea rossa rappresenta il valore limite annuale UE (40 μg/m³), quella arancione dell’OMS (20 μg/m³).
Fonte: Elaborazioni ISPRA su dati ARPA/APPA

La qualità dell’aria durante il lockdown

Il Rapporto SNPA 2020 in un capitolo allegato mette infine in evidenza regione per regione, gli effetti delle misure di contenimento della pandemia di Covid-19 e le ripercussioni avute dal blocco sulla drastica riduzione di alcune sorgenti (traffico e attività produttive) dei principali inquinanti.

In un contesto così drammatico come quello della pandemia, segnato dal rapido succedersi degli esiti sanitari, e dalla febbrile ricerca di soluzioni volte a contenere e gestire l’afflusso dei pazienti nelle strutture di cura, il tema dell’inquinamento atmosferico si è rivelato strategico, sia pure a latere dell’elemento principale che è stato la diffusione del Covid-19, per due motivi sostanziali.

Il primo, riguarda le ipotesi di possibili relazioni tra esposizione all’inquinamento atmosferico e suscettibilità all’infezione, oggi oggetto di diversi studi e approfondimento da parte della comunità scientifica internazionale; il secondo è legato al fatto che, oggettivamente, la situazione che si è venuta a creare, ha stimolato l’interesse di addetti ai lavori e non, riguardo agli effetti che una riduzione estesa a diverse sorgenti antropiche e generalizzata sul territorio nazionale, potesse avere sulla qualità dell’aria.

Rispetto della normativa e adeguamento agli obiettivi Europei

Nel complesso dunque il Rapporto SNPA 2020 testimonia che le concentrazioni di biossido di zolfo, monossido di carbonio, benzene e piombo nel nostro paese sono diminuite in modo significativo già nella seconda metà degli anni 2000 raggiungendo livelli minimi e ampiamente al di sotto delle soglie previste per la protezione della salute umana e degli ecosistemi, ma in diverse zone del Paese il particolato (PM10 e PM2,5), il biossido di azoto, l’ozono troposferico e il benzo(a)pirene sono gli inquinanti per i quali si registra a tutt’oggi il superamento dei valori limite stabiliti dalla normativa. Inoltre in generale gli obiettivi più stringenti posti dalle linee guida dell’OMS sulla qualità dell’aria sono ancora lontani dall’essere raggiunti.

Al riguardo si segnala che la Commissione UE è decisa ad affrontare il divario i limiti previsti dalla normativa europea e quelli dell’OMS, proponendo la revisione degli standard dell’UE nell’ambito del Piano d’azione sull’inquinamento zero previsto dal Green Deal europeo, che sarà presentato nel secondo trimestre del 2021 sotto forma di comunicazione, e sul quale è stata aperta una Consultazione pubblica con scadenza il 10 febbraio 2021.

Nel quadro europeo, l’Italia rappresenta ancora una delle aree dove l’inquinamento atmosferico è più rilevante e il Rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) sulla qualità dell’aria in Europa pubblicato il 23 novembre 2020, stima che in Italia siano 52.300 le morti premature ogni anno causate da elevati livelli di particolato fine (PM2,5), 10.400 quelle dovute al biossido di azoto (NO2) e 3.000 quelle per l’ozono (O3).

Relativamente ai superamenti c’è da ricordare che la Corte di giustizia europea con la Sentenza pubblicata il 10 novembre 2020 ha condannato il nostro Paese “per essere venuto meno all’obbligo sancito dal combinato disposto dell’articolo 13 e dell’allegato XI della direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa”.
Mentre in data precedente, il 30 ottobre 2020, la Commissione UE aveva aggiornato il nuovo pacchetto di infrazioni con l’inserimento della lettera di costituzione in mora nei confronti del nostro Paese perché “I dati disponibili per l’Italia dimostrano che sin dal 2015 il valore limite per il PM2,5 non è stato rispettato” e “le misure previste dall’Italia non sono sufficienti a mantenere il periodo di superamento il più breve possibile”.

A cura della redazione di Ancler