Un articolo pubblicato sul British Medical Journal aggiunge alcuni tasselli al puzzle delle conseguenze epidemiologiche dell’esposizione prolungata, e anche a breve termine, alle polveri sottili, in particolare a PM2.5. Non solo si sono scoperte associazioni riguardanti malattie mai studiate in relazione all’esposizione al particolato, ma si è scoperto che anche a livelli di inquinamento da PM2.5 inferiori alle soglie fissate dalle linee guida internazionali sulla qualità dell’aria, l’esposizione è associata a diverse cause recentemente identificate di ricoveri ospedalieri. In particolare, le cause più frequenti dei ricoveri ospedalieri sono state lesioni e avvelenamento, insufficienza cardiaca congestizia, polmonite, aritmie cardiache e setticemia.
Lo studio conferma inoltre diverse cause precedentemente stabilite di ricovero ospedaliero associate all’esposizione a breve termine a PM2.5 tra cui malattie cardiache e polmonari, diabete, morbo di Parkinson e diabete.
Secondo i ricercatori, le linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) dovrebbero essere riconsiderate alla luce di questi nuovi dati abbassando i valori soglia, attualmente per il PM2.5 di 25 µg/m3 come media annuale.
Si tratta di uno studio statunitense, condotto nientemeno che da un team di ricerca della TH Chan School of Public Health di Harvard, che ha analizzato oltre 95 milioni di richieste di assicurazione ospedaliera nell’ambito di Medicare, di adulti di età pari o superiore a 65 anni negli Stati Uniti dal 2000 al 2012. Le cause di ricovero ospedaliero sono state classificate in 214 gruppi di malattie, che sono state collegate all’esposizione giornaliera stimata al PM2.5 sulla base dei dati della US Environmental Protection Agency.
I ricercatori hanno quindi potuto stimare l’aumento del rischio di ricovero e i costi corrispondenti associati all’aumento di 1 microgrammo per metro cubo nell’esposizione a breve termine a PM2,5 (un aumento esiguo) per ciascun gruppo di malattie. Gli indicatori considerati sono stati il rischio di ricovero ospedaliero, il numero di ricoveri, i giorni di degenza ospedaliera, i costi delle cure ospedaliere e post-dimissione, e il value of a statistical life (VSL) (il costo per evitare un decesso).
Per esempio, ogni aumento di 1 µg/m3 di PM2.5 era associato a 2.050 ricoveri extra ospedalieri e a 12.216 giorni di ospedale.
L’analisi economica suggerisce che anche un piccolo aumento dell’esposizione a breve termine al PM2.5 è associato a un notevole effetto economico. Un aumento di solo 1 µg/m3 di PM2.5 era associato a un costo di 31 milioni di dollari (28 milioni di euro) per l’assistenza per malattie non precedentemente associate a PM2.5 incluse sepsi, insufficienza renale, infezioni del tratto urinario e della pelle. E soprattutto, queste persistevano anche quando l’analisi era limitata ai giorni in cui la concentrazione di PM2.5 era al di sotto delle linee guida della qualità dell’aria dell’OMS.
Per le malattie con un’associazione precedentemente nota con l’esposizione al PM2.5, ogni aumento di 1 µg/m3 nell’esposizione a breve termine è stato associato ad un aumento annuale di ben 3.642 ricoveri ospedalieri, 20.098 giorni in ospedale e 69 milioni di dollari in costi di cure ospedaliere e post dimissioni e in 4,1 miliardi di dollari per evitare il decesso.
Va precisato che i ricercatori stessi sottolineano l’impossibilità di catturare completamente i costi dopo la dimissione o di tenere conto di altri fattori che potrebbero innescare il ricovero in ospedale, come il fumo, il consumo di alcol e il consumo di droghe.
«La nostra conoscenza degli effetti sulla salute del PM è ancora carente in molte aree», confermano dei ricercatori dell’Università di Southampton in un altro editoriale a commento dello studio.
Fonte: Rivista Micron di Cristina Da Rold, 11 Dicembre 2019