Anche quest’anno la Valle Padana colleziona record di ‘superamenti’ della soglia di 50 µg/m3 per le concentrazioni di PM10 (le polveri fini regolamentate dalla legislazione europea con la direttiva 2008/50/CE). Siamo solo all’inizio dell’anno e già in molte città stiamo esaurendo il numero di superamenti annuali concessi (35), oltrepassato il quale scattano sanzioni. Fin qui nulla di nuovo se non per il fatto che anche al centro della Penisola c’è un’altra valle, quella del Sacco che, con le sue ‘piccole’ città di Frosinone e Ceccano, torna a contendere tale primato negativo alla ben più nota valle del nord.
Negli ultimi anni, la credenza che attribuisce al traffico la causa principale dei ricorrenti superamenti invernali della soglia europea è stata molto ridimensionata. Conoscenze aggiornate indicano un rapporto medio annuo tra il PM10 derivante dal riscaldamento e quello da traffico di circa 1.6, valore che sale a 5 se rapportato alla sola stagione invernale, considerando che questo è di fatto l’unico periodo dell’anno in cui i riscaldamenti sono accesi (cfr. Ispra, Rapporto ambiente urbano 2018).
Uno dei motivi alla base di questi valori è il fatto che, a parità di calore erogato, la combustione di legname genera da 1000 (stufe a pellet) a 60-mila volte (caminetti) il PM10 generato usando il metano e che l’uso della legna nel riscaldamento è prassi piuttosto comune. In termini di inquinanti cancerogeni, come il Benzo(a)pirene (BaP), i caminetti ne emettono poi 800 volte più del metano e del gasolio e 500 volte più dei pellet. A tal riguardo, la valle del Sacco condivide con Sondrio il primato di concentrazioni di BaP, con quasi il doppio della soglia obiettivo italiana. Appare improbabile che ciò dipenda dal traffico.
Infatti, in quanto a traffico, Frosinone non può certo gareggiare con le grandi metropoli. Eppure, nei primi 41 giorni del 2020 il PM10 a Frosinone Scalo ha registrato ben 36 superamenti. Per confronto, a Roma nello stesso periodo il massimo numero di sforamenti è stato di 23 (centralina Tiburtina). Ceccano, cittadina di 23000 anime poco distante da Frosinone, ne ha registrati 32. È naturalmente vero che, anche quest’anno e proprio come in una ‘piccola Val Padana’, la meteorologia della Valle del Sacco ha giocato un ruolo importante nel trattenere gli inquinanti: poco vento e poche piogge. Ma è possibile che la meteorologia cambi improvvisamente le caratteristiche del PM10, come osservato dai primi di novembre?
Per cercare di comprendere come mai un sito così apparentemente ‘verde’ possa essere tanto inquinato, lo scorso ottobre il gruppo ‘Aerolab’ del Cnr-Isac ha istallato uno strumento per la misura della frazione ‘nera’ del PM10 (detta Black Carbon o BC) proprio vicino agli strumenti della centralina Arpa Lazio di Frosinone Scalo. Il BC è generato dalla combustione sia di carburanti (principalmente gasolio e kerosene) che di legna (o, più in generale, biomasse) e, in relazione alle sue piccole dimensioni ed ai suoi costituenti, vanta una reputazione ben peggiore del ‘generico’ PM10 per i suoi danni alla salute.
Dopo 120 giorni di registrazioni e più di un milione di dati raccolti, ecco cosa indicano queste misure:
Fino ai primi di novembre 2019, data ufficiale di avvio dei riscaldamenti, il BC da combustione di biomasse oscillava tra il 10 ed il 25% del BC totale. Dal 3 al 30 novembre, nonostante le intense piogge di quei giorni, questa percentuale è salita rapidamente al 25-50%, per poi salire ancora e stabilizzarsi tra il 50 ed il 75% da dicembre ai primi di febbraio 2020. Il PM10 medio giornaliero seguiva un andamento analogo: minore di 25 µg/m3 prima di novembre, 25-50 µg/m3 fino a dicembre, per poi rimanere sopra la fatidica soglia dei 50 µg/m3 (con picchi fino a 165 µg/m3), fino a metà febbraio 2020 (figura 1). Da questa sequenza nascono i 36 superamenti in 41 giorni del 2020 ed i 16 di fine 2019 registrati dalla centralina Arpa Lazio di Frosinone Scalo. Considerando come detto che il limite massimo annuale è di 35 superamenti, dopo appena 41 giorni Frosinone è tornata ad essere ‘sanzionabile’ anche quest’anno.
Utilizzando i rapporti tra BC, NOx e PM10 totale forniti dalla letteratura scientifica, è stato ricostruito il percorso del PM10 lungo questi 4 mesi. Ne risulta che da metà novembre 2019 (appena terminate le piogge), almeno il 50% del PM10 è stato generato da combustione di biomasse (barre rosse in figura 1), per cui, traffico a parte, il 50% degli sforamenti del 2020 sarebbero avvenuti comunque per le sole emissioni dovute alla combustione di biomasse.
Parimenti, il contributo al PM10 generato da novembre in poi dagli ossidi di azoto (NOx) emessi dal traffico e dai riscaldamenti (circa di pari entità) scende dal 30% al 15%. In tutto questo periodo, anche aggiungendo a questo PM10 ‘secondario’ il PM10 ‘primario’ direttamente immesso dal traffico non si superano i 25 µg/m3. Ciò indica che il traffico di Frosinone, da solo, non sarebbe sufficiente a generare superamenti, neanche nella stagione invernale. Infine, a conferma delle stime derivate dal documento Ispra, il rapporto tra PM10 da riscaldamento e quello da traffico risulta essere minore di 1 fino ai primi di novembre per poi salire a valori tra 4 e 6 da dicembre in poi.
In sintesi, dalla prima analisi dei dati ‘Aerolab Cnr-Isac’ e di quelli Arpa Lazio emerge che nella Valle del Sacco:
– nel periodo invernale i riscaldamenti (in particolare se basati sulla combustione di biomasse) generano una importante componente del PM10 atmosferico;
– in località confinate, come quella della Valle del Sacco, ciò risulta associato a ripetuti superamenti dei limiti di legge sul PM10.
Considerato che i composti immessi in atmosfera dalla combustione di legna e di combustibili poco raffinati rappresentano un importante fattore di rischio per la salute, le osservazioni effettuate suggeriscono l’importanza di specifiche azioni di mitigazione.
Si ringrazia Arpa Lazio per il supporto fornito alle misure di Black Carbon di ‘Aerolab Isac’ e per la diffusione dei dati di qualità dell’aria delle sue centraline.
Fonte: CNR