Esiste una correlazione tra inquinamento atmosferico e Covid-19, fra particolato atmosferico e virus? Può l’esposizione a inquinamento atmosferico, sia cronica sia acuta, avere un effetto sulla probabilità di contagio, la comparsa dei sintomi e il decorso della malattia del coronavirus causata dalla SARS-CoV-2? Molti gli studi in corso e divergenti le posizioni degli scienziati.
Lo studio dell’università di Catania e lo studio dell’università di Harvard
Due studi, uno dell’università di Catania e uno dell’università americana di Harvard, correlano le polveri sottili con le infezioni Covid-19. Il presidente del Consiglio superiore di sanità (Css), Franco Locatelli, nei mesi scorsi ha evidenziato che la correlazione fra polveri sottili e mortalità da Covid-19 è un’informazione importante che contribuisce a definire meglio lo scenario dei fattori di rischio e relativamente ai due studi ha precisato che si tratta di studi importanti da tenere nella dovuta considerazione, ma che non possiamo ancora trarre conclusioni definitive.
Qualità dell’aria, meccanismi biologici e Covid-19: i due studi scientifici italiani
Due importanti lavori scientifici sulla relazione tra Covid-19 e inquinamento atmosferico sono in pubblicazione in prestigiose riviste. Entrambi gli articoli sono frutto della collaborazione di Arpae con l’Università degli studi di Bologna (Dipartimento di Medicina specialistica diagnostica e sperimentale) e con Public Health England (Centre for Radiation, Chemical and Environmental Hazards) e rappresentano un importante contributo nella discussione in corso da mesi sulla rilevanza della qualità dell’aria nella gravità della malattia causata dal virus Sars-Cov-2.
Il primo articolo dal titolo The secretive liaison of particulate matter and Sars-Cov-2. A hypothesis and theory investigation è stato pubblicato sulla rivista internazionale Frontiers in Genetics. Il secondo articolo, dal titolo Environmental pollution and Covid-19: the molecular terms and predominant disease outcomes of their sweetheart agreement è stato pubblicato sulla rivista italiana Epidemiologia&Prevenzione.
Entrambi descrivono i risultati e l’analisi di studi in vitro effettuati a Bologna sulla risposta molecolare delle cellule umane all’esposizione al particolato atmosferico: tali studi hanno permesso di ipotizzare il meccanismo per cui alti livelli di PM nell’aria possono contribuire al peggioramento delle condizioni cliniche di persone infette da Sars-Cov-2 (e più in generale dai virus respiratori), soprattutto in correlazione con altre patologie pregresse. L’ipotesi avanzata dagli studi è quindi che l’inquinamento non sia un elemento che facilita l’ingresso del virus nell’organismo, quanto invece un ulteriore fattore di rischio, al pari di ipertensione, diabete e obesità, che può aumentare la suscettibilità all’infezione o aggravare i sintomi di Covid-19.
Il Position Paper della SIMA (Società italiana di medicina ambientale) e la rete Rescop: il coronavirus è legato all’inquinamento atmosferico solo con un numero alto di contagio e con condizioni atmosferiche sfavorevoli
Dopo l’adozione del position paper Potential role of particulate matter in the spreading of COVID-19 in Northern Italy: first observational study based on initial epidemic diffusion (pubblicato sul Bmj Open il 24 settembre 2020), che evidenzia per la prima volta un’associazione tra incidenza di Covid-19 e frequenza di sforamenti di particolato atmosferico nelle città del nord Italia investite dalla prima ondata, la Società italiana di Medicina ambientale (Sima) ha annunciato la costituzione di una grande rete internazionale (denominata Rescop – Research Group on Covid-19 and particulate matter) per la ricerca del coronavirus Sars-COV2 sia nell’aria ambiente che nei luoghi chiusi (indoor). La Rescop è oggi una commissione tematica della prestigiosa rivista scientifica “Environmental Research” e sta contribuendo a generare evidenza sul tema grazie a un numero speciale dedicato a Covid-19 e inquinamento outdoor/indoor.
La rete Rescop ha condotto una campagna di monitoraggi a Milano, Bergamo, Napoli, Madrid e Bruxelles nel corso del lockdown tra aprile e maggio, giungendo alle stesse conclusioni della ricerca condotta in Veneto e in Puglia dal Cnr Isac negli stessi giorni: il coronavirus Sars-COV2 non si ritrova nell’aria ambiente se non circola in maniera massiccia tra la popolazione, fatto che ne rimane il presupposto necessario ma non sufficiente. Infatti, oltre a un’ampia diffusione del virus – peraltro oggi resa più difficoltosa dall’uso di mascherine anche all’aperto – è necessario che vi siano condizioni climatiche ideali all’adesione del virus al particolato – come, per esempio, giornate di nebbia, con tassi di umidità idonei e temperature basse – e trovarsi in presenza di picchi di PM10 molto elevati».
I risultati di entrambi i gruppi di ricerca indicano che il virus entra strettamente a contatto con il particolato e questo può essere possibile solo attraverso l’interazione tra le goccioline di espettorato e le polveri sospese. Nel recente lavoro sul Bmj Open, i ricercatori Sima hanno proposto per la prima volta un modello meccanicistico secondo cui le goccioline, interagendo con il particolato sospeso, rallentano la loro velocità di dispersione outdoor mantenendosi più stabili nell’aria e permettendo una maggiore probabilità di contagiare persone a distanze superiori a 2 metri, portando così la distanza di sicurezza a 8 metri. Questa maggiore stabilità ha verosimilmente portato a fenomeni di superspread con Rt che passano da 1-2 a 3-4, come si è osservato in molte province del nord Italia anche durante la seconda ondata tra ottobre e novembre, quando gli sforamenti di polveri sottili hanno interessato Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, così come l’area metropolitana di Napoli.
Il fatto che nessun campionamento eseguito dalla rete RESCOP o da altri enti abbia riscontrato il coronavirus nelle belle giornate di lockdown della scorsa primavera è di fatto una conferma all’ipotesi di ricerca: l’effetto di accelerazione del processo di contagio è determinato da alte concentrazioni di polveri e meteorologia sfavorevole (basse temperature, umidità e nebbia), oltre che da un’elevata circolazione del virus.