Il legame tra inquinamento e Coronavirus è stato un tema fortemente dibattuto in questi mesi. Il rapporto tra la presenza di particolato atmosferico e diffusione della malattia è stato oggetto controverso di molteplici indagini effettuate da ricercatori di tutto il mondo. La domanda a cui si è cercato di rispondere è stata sempre la stessa: l’inquinamento atmosferico favorisce la diffusione del Covid-19?
A dare una risposta forse definitiva, dopo sospetti iniziali, conferme e smentite, è il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che a distanza di un anno dalla tragedia della prima ondata in Lombardia ha elaborato uno studio nel quale conferma la probabile correlazione fra la diffusione del virus e l’effetto dell’inquinamento atmosferico.
La ricerca, condotta dall’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Cnr con il Gipsa-lab del Grenoble Institute of Technology e la Fondazione E. Amaldi, dal titolo “Analisi degli aspetti chimico-fisici ambientali che hanno favorito la diffusione della SARS-CoV-2 nell’area lombarda”, è stata pubblicata sull’International Journal of Environmental Research and Public Health ed ha indagato le possibili correlazioni a livello regionale tra inquinamento atmosferico, dati meteorologici e focolai COVID-19 sviluppatisi nell’area della Regione Lombardia.
Nelle conclusioni della ricerca si legge che: “l’inquinamento atmosferico e le condizioni climatiche potrebbero favorire la diffusione di particelle virali attive. La comprensione della complessa interazione tra diversi fattori chimici, fisici e biologici, che può portare allo sviluppo di focolai di malattie (“effetto netto”), è della massima importanza per affrontare la ricerca futura, ma anche per pianificare lo sviluppo e la gestione di interventi per contenere la futura diffusione di infezioni virali. Questi aspetti potrebbero anche avere importanti implicazioni nella gestione della salute pubblica sia per trasmettere e migliorare la ricettività delle comunicazioni e la diffusione relative alla salute alla popolazione generale, sia per definire strategie di prevenzione più efficaci.“
Il comunicato stampa del CNR: La prima ondata di SARS-CoV-2 in Lombardia
La Lombardia appartiene a queste aree con circa il 40% dei contagi dell’intero paese (durante la prima ondata dell’epidemia) e un tasso di crescita dell’infezione, nelle 24 ore, superiore al resto delle regioni italiane.
Lavori recenti hanno ipotizzato che la presenza di inquinanti atmosferici quali particolato (PM10, PM2,5), ossidi di azoto e di zolfo, e le condizioni meteorologiche come temperatura, grado di umidità, velocità del vento, possano condizionare la stabilità di MERS-CoV e SARS-CoV-1 ed è ipotizzabile un simile effetto anche per il SARS-CoV-2.
In questo studio sono stati analizzati i dati epidemiologici forniti giornalmente da Istituto superiore di sanità e Protezione civile, riportando la distribuzione geografica nelle 12 province lombarde durante la prima ondata dell’epidemia (dal 24 febbraio al 31 marzo 2020).
Nel periodo analizzato è emerso che oltre il 63% dei 42.283 contagiati registrati in tutta la regione erano concentrati nelle province di Milano, Bergamo e Brescia. Più in generale, mentre a livello nazionale il rapporto medio tra casi infetti e popolazione era di circa lo 0,21%, in Lombardia era il doppio (0,42%).
“I risultati ottenuti mostrano una buona correlazione tra insorgenza dei sintomi da COVID-19, inquinamento atmosferico e condizioni climatiche registrati in Lombardia tra febbraio e marzo 2020”, riferisce Roberto Dragone, ricercatore Cnr-Ismn. “Tra i possibili meccanismi riconducibili agli inquinanti chimici atmosferici non si può escludere la sensibilizzazione dell’organismo all’attacco virale per abbassamento delle difese immunitarie. Le apparenti discordanze, che a volte emergono dalla letteratura, riguardo agli effetti dell’inquinamento atmosferico possono dipendere da cambiamenti locali nel tipo di inquinanti e/o nelle loro concentrazioni. Inoltre, è da considerare che le concentrazioni di particolato atmosferico monitorate non tengono conto della sua composizione chimica, la quale è responsabile del tipo di interazione con la particella virale e/o con l’organismo umano. Tale composizione dipende dalla fonte di emissione, e quindi può variare anche a seconda dell’area geografica monitorata. Infine, non è da sottovalutare che l’esposizione al virus è favorita nelle situazioni indoor e dagli assembramenti, sia all’aperto sia al chiuso, verificatisi all’inizio della prima ondata della pandemia e in assenza di misure preventive per il contenimento del contagio”.
Per lo studio di correlazione sono stati analizzati i dati meteorologici relativi alla temperatura, all’umidità relativa e alla velocità del vento, registrati giornalmente dalle stazioni meteorologiche distribuite sul territorio della Regione Lombardia. Inoltre, tramite il monitoraggio dell’atmosfera Copernicus (CAMS), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF), sono stati elaborati i dati satellitari relativi alle concentrazioni giornaliere degli inquinanti atmosferici: PM10, PM2,5, ossidi di azoto (NO, NO2), ossido di carbonio (CO) e di zolfo (SO2), ozono (O3) ammoniaca (NH3). Per i gas con proprietà acide o basiche è stato valutato il possibile contributo alla “acidità atmosferica netta”.
“Una maggiore comprensione delle correlazioni tra virus, inquinamento atmosferico e condizioni ambientali è, a nostro avviso, importante nella comprensione dei possibili meccanismi di diffusione e quindi nell’intervento mirato al contenimento della capacità infettante delle particelle virali”, conclude Gerardo Grasso, ricercatore del Cnr-Ismn.