Le analisi delle riprese economiche precedenti mostrano come una ripresa a basse emissioni di carbonio per il Clima sarebbe più importante di una temporanea riduzione delle emissioni.
Quella che è stata la contrazione più precipitosa in un secolo dell’Economia Globale, ha visto una forte riduzione delle emissioni di carbonio. Entro la fine di quest’anno, le emissioni saranno probabilmente inferiori dell’8% rispetto al 2019, il calo percentuale annuo più grande dalla seconda guerra mondiale.
Per evitare una recessione globale e stimolare le loro economie, i Governi stanno iniettando miliardi di dollari. Ed entro la fine di quest’anno, a condizione che non vi siano ulteriori grandi focolai di malattia, il Fondo Monetario Internazionale prevede una ripresa economica.
Se non ci saranno altri cambiamenti, le emissioni aumenteranno di nuovo, come hanno fatto dopo ogni recessione dal primo shock petrolifero dei primi anni ’70.
L’analisi che presentiamo esamina i recuperi passati per cercare lezioni che aiutino a tracciare dalle esperienze precedenti un percorso a basse emissioni di carbonio.
Infrangere la ferrea legge storica che collega la crescita economica alle emissioni di carbonio richiede necessariamente che le forniture di energia siano decarbonizzate.
E questo è essenziale per fermare il riscaldamento globale. Ma dobbiamo essere onesti. Nulla nella storia suggerisce che le emissioni possano scendere abbastanza velocemente da limitare il riscaldamento a 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali, un obiettivo ambizioso, quello dell’accordo di Parigi, che sarà sottoposto a revisione nei prossimi anni. Ciò significherebbe ridurre le emissioni di un valore simile a quello provocato dall’attuale catastrofe economica ogni anno per tutti gli anni del prossimo decennio. Abbiamo bisogno invece di obiettivi più pragmatici.
Il modo in cui i governi spendono ora i fondi di stimolo determinerà il futuro del riscaldamento globale.
E a tal proposito le opinioni sono diverse.
Alcuni analisti politici sperano che la pandemia COVID-19 sarà un campanello d’allarme che catalizzi l’azione politica, un brusco promemoria che avverta che le principali minacce alla prosperità, come i cambiamenti climatici, richiedono rispetto per la scienza e un impegno globale.
Altri sostengono il contrario: dopo la pandemia i governi nazionali si concentreranno verso l’interno, restringendo la loro attenzione a preoccupazioni immediate come la sicurezza della salute, l’occupazione e l’economia, piuttosto che il futuro del pianeta.
Finora, quest’ultimo approccio sembra vincere.
Ad esempio, invece di incentivare gli investimenti verdi, nelle ultime dieci settimane, Stati Uniti, Messico, Sudafrica e altre Nazioni hanno allentato le leggi che controllano l’inquinamento e gli standard di efficienza energetica dei veicoli.
E questo è preoccupante.
Poiché l’anidride carbonica permane nell’atmosfera per oltre un secolo, la traiettoria a lungo termine delle emissioni per molti anni determina la quantità di stock di CO2 accumulata. Una breve pausa è positiva, ma dobbiamo urgentemente basarci su di essa per limitare il riscaldamento a lungo termine.
In questa crisi, qualsiasi piano di mitigazione del clima deve soddisfare i bisogni immediati della popolazione o non verrà sostenuto. Fortunatamente, ci sono punti critici che possono offrire e salvare centinaia di migliaia di posti di lavoro come investire in energie rinnovabili, efficienza energetica e nel preservare la dotazione esistente di centrali nucleari a emissioni zero.
Gli attivisti climatici e gli analisti riconoscono che una massiccia spesa pubblica può essere incanalata a favore dei loro obiettivi, come è accaduto nello stimolo economico dopo la crisi finanziaria del 2008. Ciò che non hanno capito è quanto sia gravemente cambiata la politica, lontana dalle aspirazioni a lungo termine, come la protezione del clima per i decenni a venire, e preoccupata invece dal recupero immediato di posti di lavoro e ricchezza.
Senza realismo politico, questa opportunità di recupero verde sarà sprecata.
Le “Rime” della storia
In termini di scala, la recessione in corso già supera quelle che abbiamo visto nei tempi moderni. La disoccupazione negli Stati Uniti, difficile da misurare perché sta salendo rapidamente, è stata del 16% il mese scorso ed è ancora in aumento. (Circa un quarto della forza lavoro americana non aveva posti di lavoro al culmine della Grande Depressione negli anni ’30).
La storia non si ripete, ma, come molti hanno detto, fa spesso rima. Il mondo ha subito cinque grandi shock economici dalla prima crisi petrolifera, iniziata alla fine del 1973. Quattro di questi hanno rallentato l’aumento delle emissioni.
Ad esempio, durante la ripresa dalla seconda crisi petrolifera, iniziata nel 1979, la crescita delle emissioni è diminuita di un terzo, passando da un incremento annuo del 3,6% nel periodo 1976-1979, ad un incremento del 2,4% all’anno nel periodo 1983-1990.
La successiva grande recessione è stata innescata dalla frammentazione dell’Unione Sovietica nel 1991. Ha visto la traiettoria dell’incremento delle emissioni appiattirsi di un altro terzo, con e il tasso di crescita sceso, nel periodo 1994-1997, all’1,6% all’anno.
La crisi finanziaria asiatica del 1998 ha costituito una eccezione. Dopo una breve recessione, la crescita delle emissioni è raddoppiata durante un decennio di rapida espansione industriale. Questo è stato il periodo della fenomenale ascesa dell’economia cinese, che ha promosso la produzione pesante e le esportazioni, tutte alimentate dal carbone.
Il ritmo della storia è saltato quando si è spostato l’ordine economico globale. Ma è tornato con lo shock successivo: dopo il crollo finanziario globale del 2008, la crescita delle emissioni si è dimezzata all’1,6% all’anno nel decennio successivo.
In effetti, l’ultimo decennio ha visto il periodo più lungo di appiattimento dell’incremento delle emissioni dalla seconda guerra mondiale. Questa era ha coinciso con una crescita economica sostenuta. È politicamente più facile per i governi concentrarsi su obiettivi a lungo termine come i cambiamenti climatici (come hanno fatto molti governi) quando le economie si stanno espandendo. Inoltre, fino al 15% del finanziamento dello stimolo globale iniettato dopo la crisi finanziaria del 2008 è stato destinato allo sviluppo e alla diffusione di tecnologie verdi.
Gli Stati Uniti hanno investito in contatori intelligenti e hanno lanciato programmi per innovare batterie, energie rinnovabili e cattura del carbonio. La Cina e altri paesi hanno fatto lo stesso, rafforzando il loro impegno per le tecnologie eoliche e solari (che sono crollate nei costi di circa il 70% e il 90%, rispettivamente, nel decennio successivo). Ha anche aiutato le economie a spostarsi verso servizi come la digitalizzazione: questi generano molto più valore utilizzando molta meno energia con minori emissioni.
Gli shock, sebbene dolorosi, sono punti di svolta politici e industriali se vengono incentivati per le infrastrutture a basse emissioni di carbonio. Ad esempio, le emissioni sono diminuite del 15% nel decennio successivo alla riunificazione della Germania occidentale e orientale. Questo perché la Germania orientale era esposta alla tecnologia e agli investimenti occidentali, insieme a incentivi per l’efficienza. Dopo gli shock petroliferi del 1973 e 1979, i prezzi elevati dell’energia hanno incoraggiato le aziende a investire in una produzione più efficiente. Tale modifica non è garantita. Le crisi petrolifere hanno anche portato i governi a trovare carburanti locali per sostituire il petrolio importato. Questo è stato un vantaggio per il carbone: le sue emissioni extra hanno parzialmente compensato i guadagni derivanti dall’efficienza energetica.
Scelte future
Quando le economie emergeranno dallo shock attuale, quali “rime” seguiranno, se ce ne sono? Gli stimoli difenderanno le vecchie pratiche o aumenteranno anche quelle più inquinanti? O questa opportunità inclinerà la curva delle emissioni verso il basso, una volta per tutte?
Il crollo record delle emissioni del 2020, da solo, migliorerà il riscaldamento futuro. Secondo l’analisi, anche se le economie ripartiranno l’anno prossimo sulle loro traiettorie di emissioni pre-pandemiche, entro il 2050 lo shock avrà impedito a 128 GtCO2 (giga-tonnellate di CO2) cumulative di raggiungere l’atmosfera – pari a circa tre anni di emissioni ai livelli del 2018. Ciò produrrebbe concentrazioni più basse di CO2 nell’atmosfera – circa 10 parti per milione (ppm) in meno di quanto stimato se non si fosse verificata la pandemia. (Per un calo del 6% delle emissioni, come previsto dall’Organizzazione meteorologica mondiale, le cifre sono 101 GtCO2 e 8 ppm.)
Ancora più importante del calo delle emissioni, tuttavia, è la forma del recupero. Le economie raramente ritornano al loro stato di pre-shock. Invece, seguono percorsi più verdi o più inquinanti.
Ad esempio, una ripresa “sporca” alimentata dal carbone, come accaduto a seguito della crisi finanziaria asiatica, rigonfierebbe rapidamente le emissioni di CO2 in modo da superare la traiettoria pre-pandemica. Un percorso più ecologico, simile alle ricerche di efficienza dopo il crollo sovietico o di recupero verde dopo la crisi del 2008, si baserebbe sul picco negativo del carbonio conseguente la pandemia.
A seconda del tipo di strada che verrà intrapresa dall’imminente recupero, la differenza in termini di emissioni di CO2 tra un percorso verde e un percorso “sporco” è stata quantificata in 230 GtCO2 che entreranno o meno nell’atmosfera entro il 2050, quantità equivalente a una variazione di circa 19 ppm della concentrazione atmosferica – circa il doppio del potenziale impatto del solo shock.
Con un serio investimento nella decarbonizzazione, la traiettoria effettiva potrebbe essere molto più bassa; piegare la curva delle emissioni richiede di tracciare una rotta totalmente nuova.
Fare pressioni sulla realtà
Come possiamo metterci sulla strada delle emissioni più basse?
In primo luogo, diventando realistici su quali progetti climatici possono essere realizzati prontamente. I leader politici – e gli attivisti climatici che vogliono aiutarli ad avere successo – devono filtrare le azioni politiche secondo ciò che è politicamente sostenibile. Ciò significa elaborare progetti che generino rapidamente posti di lavoro e entrate.
Cosa c’è dentro? Incentivi per potenziare le centrali eoliche e solari. All’inizio di quest’anno, oltre 250.000 persone hanno lavorato nell’energia solare negli Stati Uniti. Da allora la pandemia ha spazzato via cinque anni di crescita dell’occupazione in questo settore – posti di lavoro che torneranno rapidamente se saranno previsti incentivi credibili agli investimenti.
Mantenere aperta la consistenza attuale di reattori nucleari proteggerebbe decine di migliaia di posti di lavoro altamente qualificati. La costruzione di infrastrutture, come la costruzione di linee elettriche e la realizzazione di adeguamenti energetici per edifici e trasporti pubblici, è un altro grande potenziale datore di lavoro. Le infrastrutture verdi sono fondamentali perché continuerebbero a offrire minori emissioni anche dopo che la fine della crisi.
Cosa c’è per il momento? Politiche come le tasse sul carbonio e i mandati tecnologici che impongono nuovi costi ai clienti che stanno già lottando finanziariamente. Inoltre, costosi investimenti in tecnologie e infrastrutture astratte che potrebbero rivelarsi trasformative ma che non possono essere ridimensionate rapidamente, come la cattura del carbonio e l’energia dell’idrogeno.
Il Green Deal europeo è un buon modello per i pacchetti di stimolo. È un massiccio piano di investimenti lungo un decennio da 1 trilione di euro che combina la crescita industriale con una profonda decarbonizzazione ed efficienza. Finora ha mantenuto il sostegno politico perché la maggior parte dei governi europei rimane impegnata nell’azione per il clima, anche di fronte alla pandemia. Dovrà essere adattato per rimanere concentrato su aree che offrono lavori rapidamente.
La nuova realpolitik richiede un ripensamento degli atteggiamenti verso le aziende esistenti. Sono finite le visioni sognanti di demolire industrie vecchie e inquinanti e sostituirle con un nirvana verde di imprese sostenibili. Le imprese esistenti dovranno essere coinvolte nella ripresa: sono pronte al riavvio e politicamente potenti. Una strategia politica esperta isolerebbe solo quelle aziende le cui azioni compromettono gravemente gli obiettivi climatici – il carbone convenzionale è un candidato di spicco – e garantirebbe che i loro lavoratori siano trattati giustamente e riqualificati in nuove aree di lavoro.
Sarà più facile scegliere i vincitori politici e climatici settore per settore. Le azioni necessarie per la produzione di acciaio e cemento – in cui i nuovi sistemi tecnologici devono essere testati su larga scala – sono diverse dal settore energetico, in cui le tecnologie sono più mature. Il caricamento frontale della progettazione e del dispiegamento delle prime acciaierie e cementerie a emissioni zero possono contribuire a generare occupazione. Nel settore dell’energia, l’espansione delle tecnologie rinnovabili e delle linee elettriche può assorbire rapidamente gli investimenti. Un approccio settoriale può anche aiutare la cooperazione oltre i confini internazionali, che è essenziale per affrontare i cambiamenti climatici, ma negli ultimi anni ha sofferto molto.
Il mondo si trova oggi in un altro momento cruciale per la politica climatica. I trilioni dedicati allo stimolo hanno finora cercato di stabilizzare economie e lavoratori. Con una nuova attenzione che guarda al futuro, le prossime ondate di spesa devono anche aiutare a proteggere il clima.
Fonte: Nature
Traduzione, adattamento e sintesi a cura della redazione di Ancler